Thursday, April 12, 2007

Endecazzillabi

Finì la canna. Dentro noi risiede.
C’invade dalla crapa fino al piede

(Si ma a me piace più capa, e se ci metti dentro orifizio è perfetto.)

Finì la canna, lamentevol vizio!.
La capa annebbia, e invade l’orifizio.

(E però Giuda Ballerino, senza capa e con l’orifizio che è anche vizio.)

Tu pecchi, soddisfando ogni tuo sfizio :
Vizio è la canna, vizio è l’orifizio !

((Ah scusa ho dimenticato il Giuda Ballerino, credevo fosse un’interiezione ma ditele le cose no?.
Che è anche la risposta alla morallizzazione cattolica precedente :))

Se Giuda Ballerino avubbe il vizio
Di fumar canne e andare all’orifizio,
Non avrebbe tradito l’altro tizio
Mandandolo a schiattar sul crocefizio !

(E a questo punto l’altro potrebbe rispondere che il tizio è comunque ((ah scusa scrivo comunque)) andato sul crocefizio a salvare te e Giuda Ballerino e il tuo orifizio.)

Eppur alla Salvezza ha dato inizio
Lo strazio di quel tizio in crocefizio :
Per Giuda Ballerin, per l’orifizio,
Per te, quel tizio fece il sacrifizio!

(Ah a questo punto io mangio il Lampredotto
Guardando il viadotto
Che (per l’appunto)
E rotto.)

((Aspetta aspetta, starai mica parlando in rima tu?!))

(No.)

LEOPORNO

ALLA LUNA (di Giacomo Leopardi)

O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l'affanno duri!

ALLA LUNA (di Eiaculo dal Dardo)

O graziosa luna, io mi rammento
che or volge l’ano sovra questo culo
e io venia sulla coscia a ritirarmi.
Al pene davi succulento asilo,
siccome or fai che tutta lo richiavi.
Ma nel cul leso e tremulo dal pianto
che ti sorgea dal coglio, alle mie feci
il tuo vello apparia, che stravogliosa
era mia virilità: il pene cangia stile,
o mia dolente luna. E pur mi chiava
il ricco dardo e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh, come grassa scorreggia
mi stappa e giova, quando con lungo
sperma imbeve e allarma il grosso
membro che trapassa cosce,
il cul farcisce e che fa l’ano duro!